Dalla prima parte decisamente più anonima, un misto di mulattiera e sentiero singolo di bosco, ci si immette a 20 minuti dalla vetta nella parte oltre la vegetazione, in un saliscendi tra la anticima Est e la cima vera e propria del monte. Questa parte è decisamente aerea e lascia spaziare la vista su suggestivi scorci del lago di Iseo, vertiginosamente al di sotto dei nostri piedi mentre cammino lentamente, quasi per non disturbare, dondolando tra le roccette.
La bruma mattutina al fondo valle galleggia sul placido lago e il sole sulla vetta è uno schiaffo caldo nel leggero soffio di vento gelido che spazza la parete sud.
Gli ultimi 20 minuti sono stati 45 per me, mi fermavo, guardavo l’orizzonte cercando il giusto scorcio ma non me la sentivo di scattare, non avrei potuto descrivere con una semplice immagine la scena, così tesa tra le luci mattutine che trapelavano tra le colline a sud e l’incanto del lago addormentato nella nebbia. I monti neri ad Ovest e la vetta del Guglielmo che mi osservava, gigante gentile, ad Est. Semplicemente, talvolta, l’immagine migliore è quella che porti a casa sotto pelle.
Raggiunta la vetta cedo a quel misto di eccitazione e trionfo infantile proprio del raggiunto traguardo: che sia l’Aconcagua, il Nanga Parbat o la collina dietro casa, al limitare della città la cima vale per tutti, almeno per un secondo, il senso di impresa, come fossimo dei novelli Ardito Desio.
Da li la discesa e le foto di commiato in un nostalgico arrivederci sbuffato.